Servo o padrone?
La narrazione del Self-made-man e i film di Totò, la Fenomenologia dello Spirito e il ragionier Ugo Fantozzi. In un pomeriggio di ottobre accade anche questo ;)
I rapporti che creiamo con gli altri devono per forza essere basati sul conflitto? È sempre e comunque un “noi e loro” (un homo homini lupus declinato elegantemente), un mors tua, vita mea di cui non possiamo fare a meno? Formare una collettività e parteciparvi implica sempre un rapporto di opposizione (interno vs esterno) e di subordinazione (interno vs interno), la determinazione di una gerarchia?
Hegel risponderebbe di sì. Questo perché (secondo la sua Fenomenologia) per diventare davvero “soggetti”, ci relazioniamo sì con gli altri, ma ce li rappresentiamo essenzialmente come oggetti della nostra libertà (ancora assoluta, a questo punto dello sviluppo dello spirito). E all’interno di questo ‘tutti contro tutti’ c’è chi trionfa e chi soccombe; chi è pronto a rinunciare a tutto (persino alla propria vita) per affermare la propria libertà e chi invece (per conservare la propria esistenza) preferisce riconoscere l’autorità altrui, così da aver salvo il proprio spazio (pur lasciando che venga limitato da una volontà esterna).
La dialettica servo-padrone è una delle figure più celebri della Fenomenologia dello Spirito, che modella ancora oggi molte narrazioni culturali - prima tra tutte, quella del ‘self-made-man’, sempre raccontato come l’uomo che ha saputo liberarsi da solo, realizzando i propri sogni contro tutto e tutti, colui che ha preso il controllo della propria vita rischiando il tutto per tutto. Chi diventa “padrone di se stesso” ha raggiunto uno dei traguardi della propria esistenza: si è emancipato da una certa “servitù”, da un’eteronomia non meglio definita che lo rendeva dipendente da una volontà altrui.
Verrebbe a questo punto da interrogarsi sulla veridicità di questa narrazione, o per meglio dire sull’effettiva “abolizione della servitù” che i self-made-man riuscirebbero miracolosamente ad imporre pur rimanendo saldamente legati al sistema di sfruttamento da cui si sarebbero emancipati, ed anzi rafforzandolo - riaffermando formalmente quella la stessa contrapposizione che avrebbero risolto (semplicemente accedendovi nuovamente, ma dall’altro lato della barricata).
Ma torniamo piuttosto alla figura hegeliana, perché la storia non è ancora finita.
Dopo aver identificato il ‘servo’ ed il ‘padrone’, Hegel compie un rovesciamento esemplare. Ricordate cosa abbiamo sottolineato all’inizio, quando abbiamo detto che, secondo l’autore, abbiamo sempre bisogno di essere riconosciuti (Sartre direbbe ‘essere visti’) dagli altri per essere dei ‘soggetti’? Il ‘padrone’ non fa eccezione, ed in effetti continua ad avere bisogno dell’Altro per affermare la propria soggettività. Non è dunque il servo ad aver bisogno del padrone, ma il padrone ad aver bisogno del servo: è dall’esistenza del servo (che accetta la propria condizione) che dipende il padrone, non viceversa. C’è subordinazione anche nel dominio: il padrone è, sotto questo aspetto, il servo del servo.
Ripartiamo dal dilemma dal quale siamo partiti.
Servo o padrone? Riconoscere questo interrogativo come un ‘aut aut’ significa accettare la necessità e la perpetuità del conflitto, ma implica altresì disconoscere la radicale impraticabilità di un’emancipazione definitiva dalla schiavitù.
“Siamo uomini o caporali?”, chiedeva Totò. Eppure il caporale è a sua volta uomo, perché degli uomini ha bisogno, così come il Megadirettore di Paolo Villaggio esiste solo perché esiste Fantozzi. Senza Fantozzi, la sua autorità è nulla (PS: per gli appassionati: ciò si comprende chiaramente in “Fantozzi 2000 - La Clonazione” del 1999).
E allora come si può essere ‘padroni’ senza essere ‘servi’? Ciò può accadere solo rinunciando alla reificazione dell’Altro, abolendo così i presupposti della servitù e, di conseguenza, le radici del conflitto.
Come a dire: solo senza servi ci possono essere padroni. Ma se non ci sono servi…che senso ha il ‘dominio’? Che senso ha ‘essere’ padroni?