È aprile, ad Atene
Violenta, ostinata, invadente: questa città non smette mai di fare domande - ed è così che ti convince a fare lo stesso.
Questa newsletter sembrerà un diario di viaggio, ma non è così. Piuttosto è un ‘voler dire’ attraverso i luoghi che ho percorso durante una fuga improvvisata, organizzata quasi per caso - e che doveva avere, originariamente, un’altra destinazione e un altro scopo.
Atene è stata per me l’istante della risonanza, e davvero non saprei trovare un termine migliore per descriverne lo spirito - ovvero la posizione che ha assunto immediatamente, trovandomela di fronte.
Questa “risonanza” parla effettivamente greco, ma oggi è pronunciabile soltanto in tedesco: è l’Ereignis heideggeriana (“evento” o “accadimento”, attraverso il quale l’essere umano coglie se stesso come ‘esserci’, co-abitando l’essere, e non più come cosa tra le cose, ente tra gli enti).
Questa risonanza si è manifestata non come una banale e fugace “felicità” (un’ebbrezza momentanea, la risposta ad uno stimolo specifico), bensì (mi permetto di dire) come compiuta εὐδαιμονία (pronunciabile solo nella lingua che l’ha pensata, e perciò fatta esistere), punto di osservazione che è, allo stesso tempo, punto di fuga (elemento-chiave della prospettiva e, simultaneamente, spazio di accesso ad un’altro ‘sentire’).
In questa immagine si intravede bene quello che cerco di dire, e lo cattura per caso, questo pre-sentimento, perché sarebbe bastato spostarsi d’un passo e l’obbiettivo avrebbe detto tutt’altro:
Questa immagine è il sospetto che la “cultura classica” non sia più (e mai) stata semplicemente un modello, bensì una struttura che forma la nostra visione della realtà e il nostro stesso esistere nel mondo - già parte di me, già parte di noi, a prescindere dalla consapevolezza. Così la cultura classica è, nello stesso tempo, rappresentazione e commento, ovvero narrazione che si svolge in modo perpetuo attraverso ciò che è già stato detto e che viene pronunciato nuovamente con declinazioni sempre nuove, assumendo aspetti via via diversi che concorrono a comporre, ricomponendola, la rappresentazione originaria - quella che c’è e non c’è più, e si ricrea in ogni istante.
Questo è il significato più autentico che riesco a dare alla parola “tradizione”, mai sempre uguale a se stessa ma aperta sul mondo, in costante riformulazione.
La differenza tra antico e contemporaneo (così stridente ad Atene, come ho avuto già modo di osservare su altri canali) ‘serve’ ad indicare non tanto la prevalenza dell’uno sull’altro, quanto piuttosto la distanza incommensurabile tra il mondo che c’è e quello che c’è stato - ma che esiste ancora, e che perciò potrebbe sempre esistere di nuovo.
Questa risonanza (che ad Atene così forte, e violenta, e ostinata, e invadente) è stato per me il sintomo più vivace di un ek-sistere di cui sono forse riuscito, finalmente, a cogliere i contorni.
La filosofia è un rifugio che si sposta in continuazione: proprio per questo è difficile alloggiarvici a lungo.
Ho provato a trattenermi entro i suoi confini (sempre in movimento) con Metafisica e Metaverso, in cui ho raccolto alcuni spunti di riflessione per affrontare questi problemi da una prospettiva squisitamente umanistica.
Spero che questo saggio abbia (per chi lo leggerà) la forma di una ribellione, di un interrogare ininterrotto ed insistente. Spero che non si esaurisca con l’ultima pagina, perché non c’è mai voluto essere alcunché di “definitivo”, bensì un’apertura indefessa e ostinata.
Lo trovate qui