Barra a dritta
Lavoro di squadra, pensiero magico e Leviatano: la strategia 'fatta a pezzi'.
Sì, siamo tutti CT della nazionale. E forse non è poi così male.
“Se fossi stato nei suoi panni, avrei fatto così”
“Al suo posto avrei deciso di…”
“Avrebbe potuto optare per…”
In fin dei conti, queste frasi denotano una profonda compartecipazione alle vicende di una squadra, e più in generale ‘fanno essere’ un qualche tipo di comunità nel momento stesso in cui vengono pronunciate (ma su questo ritornerò). Si tratta di espressioni che sicuramente marcano uno speciale senso d’appartenenza ad un destino effettivamente riconosciuto come ‘comune’. E siamo tutti (o siamo stati) CT della nazionale: almeno in potenza, ci siamo rappresentati come coloro che un determinato contesto in un determinato momento possono prendere delle decisioni importanti, diventando i protagonisti di una storia.
Talvolta ho l'occasione (e la fortuna) di potermi dedicare a quel genere di riflessioni che più che "fissare un punto” e sono soprattutto utili e la mette in discussione certe convinzioni comuni (mutuate certamente da automatismi e riflessi condizionati) cercando di ridimensionarle e depotenziarle. Questa è una di quelle.
Occuparsi di strategia non significa semplicemente definire un percorso, ma ha a che fare con la capacità di "tenere la barra dritta", intervenendo nel corso della navigazione a fronte di imprevisti, contrattempi, avversità. questa responsabilità, interpretata attraverso uno schema gerarchico di tipo verticale, porta talvolta erroneamente ritenere che lo "stratega" (ammetto che in italiano suoni molto strano) sia effettivamente l'unica persona all'interno di una squadra che può far sentire la propria voce e che può prendere decisioni importanti.
È per questo, in fin dei conti, che spesso è proprio questo ruolo a diventare oggetto di un particolare gioco di immedesimazione; in altre parole, la strategia è il luogo di cui più parti vogliono prendere possesso o che semplicemente più parti vogliono occupare, anche solo per un momento, anche solo in potenza.
Questo è il motivo per cui occuparsi di strategia significa relazionarsi con un pensiero essenzialmente dialettico, ed anzi è caratterizzata da un approccio costantemente teso alla sintesi, la quale a sua volta non può fare a meno di un attivo coinvolgimento di tutte le parti coinvolte.
Eppure, proprio come accade nel caso del commissario tecnico della nazionale di calcio, questo disguising (praticato rigorosamente a posteriori) si fonda su una particolare sopravvalutazione del ruolo interpretato e parimenti su una svalutazione del ruolo quotidianamente assunto.
È davvero solo lo "stratega" a poter assumere le decisioni più rilevanti nell'ambito di un percorso teso, ad esempio, a realizzare il piano di comunicazione di un'azienda? È esclusivamente al suo ruolo e alle sue competenze che è necessario far riferimento perché tutto funzioni? È localizzata in questa figura la "testa" che imprime direzioni ad ogni muscolo del "corpo"?
La volontà o la pulsione di essere "a capo" di un progetto deriva spesso da una gerarchia verticale che organizza le singole responsabilità in base a un sopra/ sotto, un prima/ dopo. Una visione teleogica dei ruoli e delle responsabilità individuali è implicita nell'ambito di una concezione inevitabilmente teleologica di un progetto?
Trovo che in tutto questo ci sia molto di hobbesiano, e non a caso la stessa espressione di "essere a capo the" rimanda al lessico del Leviatano. E’ una questione politica, e in particolare riguardo ai principi fondativi dell'organizzazione di una qualsiasi collettività? Il sospetto cresce.
Ciò che è certo è che alla prova dei fatti il "potere" della strategia è molto più limitato di quanto si voglia credere. Ciò mi riporta alla mente le argomentazioni di Levi-Strauss in merito al pensiero magico, ai sui effetti e alla sua funzione all'interno delle società primitive; poteri che sono associati innanzitutto alla parola (l'incantesimo che è in grado di guarire), la cui efficacia stai innanzitutto nella capacità di stabilire un ordine.
La falsificazione di un pensiero magico, però, conduce ad una secolarizzazione il cui effetto immediato è sempre una ridefinizione delle strutture politiche.
In questo processo evolutivo che ruolo ha la strategia?
E che ruolo ha il commissario tecnico della nazionale di calcio?